Questioni di prospettiva

Quando cominciamo a leggere per vivere, la lettura diventa una continua scoperta, e ci accorgiamo che le parole che interpretiamo sono diverse dagli specchi che ci rassicurano facendoci vedere sempre uguali a noi stessi: ora le parole sono uno specchio magico che si apre e ci fa arrivare in un altro mondo, un mondo che è lo stesso che frequentavamo un attimo fa, ma che ora è nuovo”.

(G. Montesano, Come diventare vivi. Un vademecum per lettori selvaggi).

I giovanissimi e la lettura: sembra il titolo di un articolo vecchio quanto la scuola! “Mio figlio/quel mio studente non sa scrivere, il suo linguaggio è povero, io glielo dico sempre di leggere, ma niente!” Queste esternazioni le conosciamo bene e ci lasciano sempre in testa quel punto di domanda:”ma la lettura è un fulmine che cade dall’alto sulla testa dei ragazzi?” Qualcuno che ama leggere per indole personale o che sia attratto dall’oggetto libro esiste, ma gli altri? Sono condannati?

Pennac, in una sua celebre lezione, scriveva: “L’indifferenza verso la lettura è anche il frutto di un insegnamento medico-legale della letteratura. Ma l’unica frettolosa conclusione che ne sappiamo trarre è che loro non si interessano alla letteratura e che, pertanto, non amano leggere. In realtà, […], noi pedagoghi scendiamo in campo in difesa della letteratura senza preoccuparci di creare dei lettori. Ci atteggiamo a guardiani di un tempio che ci rammarichiamo di vedere ogni giorno più vuoto, compiaciuti però di saperlo così ben custodito”

Cosa può fare la scuola? Molto! Le Indicazioni nazionali ci dicono che il gusto per la lettura è un obiettivo primario dell’intero percorso di istruzione!

Quest’anno ho avuto l’occasione di insegnare italiano al primo anno del corso di Liceo Scientifico. Non mi sono mai orientata bene tra le suddivisioni della disciplina previste al biennio: antologia, epica, grammatica ... Nel corso dei miei anni di insegnamento al triennio ho privilegiato in tutti modi possibili la centralità del testo, l’opera come chiave di accesso fondamentale non solo al mondo dell’autore, ma a noi stessi. Per chi sono fatti i libri? chiedeva il Masino di Pavese, i libri sono fatti per noi, per chi li legge. E allora bisogna leggere! Ma come? Attraverso i brandelli di testo di un’antologia - termine di nobilissima origine che ha perso, però, il suo smalto - ?  Bisogna ridare vita ai brani restituendoli al loro corpo d’origine, il testo è una persona che ci si mostra, possiamo sentirla lavorando col testo, ma la lettura deve essere integrale. La tentazione sarebbe allora quella di assegnare un bel libro per casa, funziona talvolta, ma per chi non ha il gusto della lettura che si fa?  Ci si prova insieme.

È quello che abbiamo cercato di fare. Ho individuato alcuni romanzi brevi da leggere integralmente in classe durante le lezioni del secondo quadrimestre. Ventisette ragazzi: hai bisogno di guardarli tutti negli occhi, cogliere le loro emozioni, condividere i pensieri e le impressioni, allora abbiamo composto un grande cerchio, operazione, a volte rumorosa, che si compiva ad ogni mio ingresso in classe, un’attesa, un rituale. Siamo partiti da un nome altisonante, dall’insuperato Dostoevskij, da uno dei suoi testi più delicati ed evocativi, Le notti bianche. Ho pensato “o la va o ... torno sui miei passi”. E pagina dopo pagina dei discorsi “da libro stampato” del sognatore, ho visto accendersi un interesse per questo personaggio così particolare, come poi è successo per gli altri due, Bartleby e Novecento.  Come ci insegna Tat’jana Alexandrovna Kasatkina, quando leggiamo un testo la prima volta, si attualizza tutta la nostra esperienza che quel testo ha innescato, si scopre molto gli uni degli altri (non sempre funziona in maniera ideale). Se non vogliamo fermarci al livello delle emozioni e capire altro del testo, ci vorranno altre letture e, aggiungo, delle operazioni di scrittura. Oltre alla “comprensione del valore intrinseco della lettura, come fonte di paragone con altro da sé e di ampliamento dell’esperienza del mondo”, un altro obiettivo cruciale dell’apprendimento è la produzione scritta. Dalle pagine condivise nel cerchio del libro sono emersi, giorno dopo giorno, spunti per ideare tracce di lavoro: dalla descrizione di un cantuccio dal sapore dostoevskijano alla stesura di una lettera dai toni urgenti e disperati, dalla ricerca delle cause non esplicitate nei romanzi alle interpretazioni degli atteggiamenti di tre personaggi così singolari, dalla creazione di una storia inedita all’ingresso nel meraviglioso mondo del jazz! La scrittura non è un’operazione neutra o una asettica esercitazione sulle svariate tipologie testuali: scrivere sull’onda delle riflessioni emerse dalla lettura significa far uscire una parte di te, magari proprio quella che tenevi nascosta per paura del giudizio altrui, quella fragilità che può rivelarsi un punto di forza. Scrivere significa dare voce e forma al tuo sguardo sulla realtà. I ragazzi hanno scritto, tanto.

Si è creato così un vortice virtuoso di “consegne”, centinaia di testi che, da un certo punto, sono riuscita gestire tramite l’App di Schoolwork. Con Schoolwork è stato possibile condividere con la classe materiali didattici, assegnare attività specifiche agli studenti su un’app compatibile (nel nostro caso Pages, ad esempio), collaborare con loro, correggere in simultanea i testi consegnati. Gli alunni hanno potuto visualizzare le proprie attività, consegnare compiti e progetti e vedere i propri progressi in un unico quadro. Due studenti, in particolare, hanno creato disegni originali, avvalendosi del supporto dell’app Tayasui Sketches e della Apple Pencil.

 Dall’oggetto libro, tesoro da salvaguardare sempre e comunque, con un lapis a portata di mano per segnare e accompagnare il nostro ingresso in mondi nuovi, lontani e vicini al tempo stesso, all’iPad, strumento formidabile, soprattutto quando contribuisce alla comunicazione e alla condivisione del lavoro.

Al termine di questo periodo di lavoro, i ragazzi hanno creato questa raccolta con i loro scritti e i loro disegni, per ricordare i momenti più intensi di questa esperienza, in cui il rapporto tra la letteratura e il linguaggio è stato protagonista. La letteratura, come modello di scrittura, è, per dirla con Calvino,  la “Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere”, terra dei partigiani del “cristallo” e dei partigiani della “fiamma”.          

Emilia Notaro

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