Quello che noi cerchiamo di trovare con l’arte, è la gioia della nostra prima comunione

Cosa mosse un grande artista come Henri Matisse, al culmine del successo a dedicarsi anima e corpo al progetto di una cappella per un convento di suore domenicane? Come spesso accade in opere che alla fine si rivelano grandi, il movente è casuale e quasi trascurabile. Il movente in questo caso fu una persona, che si presentò a Matisse quando questi cercava un’infermiera che lo assistesse, in quanto reduce da una pesante operazione chirurgica, e che poi divenne anche sua modella. Quel che Matisse non sapeva era che quella ragazza che lo aveva conquistato covasse in realtà una vocazione religiosa. Quando lo seppe fu un vero choc, a cui tentò anche di ribellarsi, cercando di farla desistere dalla sua decisione. Ma la ragazza fu irremovibile e divenne suora. Solo per un’altra coincidenza le loro strade si incrociarono di nuovo pochi anni dopo. Lei, che nel frattempo era diventata suor Jacques-Marie, si rifece viva per mostrare a Matisse il progetto di decorazione della cappella del suo convento. Stavolta l’ebbe vinta l’artista, che bocciò il progetto e spiazzò la suora candidandosi a prendere in mano lui il cantiere. Per Matisse fu una vera full immersion nell’opera, che durò con poche pause quasi quattro anni. La grande stampa guardava un po’ sorpresa a questa sua decisione, così “fuori mercato”. Ma Matisse andò per la sua strada, sentendosi, come lui stesso disse, «preso per mano». C’è una frase magnifica in cui lui sintetizzò il senso di quel impegno così totalizzante. Disse che quello era il modo con cui viveva il suo “flirt” con suor Jacques; anzi il suo “fleurt”, come scrisse, giocando con la parola francese, “fleur”, fiore. La cappella di Vence in effetti è uno straordinario fiore, perché ne ha la leggerezza, la grazia, la felicità e anche la mansuetudine. Vence non è frutto di un “discorso” religioso, non segue il copione della conversione al capolinea della vita, ma è l’esito di quell’incontro, che toccò il cuore di Matisse, come uomo e come artista. Un incontro a cui è sbagliato mettere etichette.
Quando Picasso che di Matisse era amico e grande estimatore, nella sua brutalità, contestò questa sua scelta, Matisse con molta calma e con grande delicatezza, gli rispose così: «Io gli ho detto: faccio la mia preghiera, e voi pure e lo sapete bene: quello che noi cerchiamo di trovare con l’arte, è la gioia della nostra prima comunione».
E poi ancora: «C’è bisogno di un coraggio per l’artista, che deve vedere le cose come le vedesse per la prima volta: bisogna vedere ogni cosa per tutta la vita come quando si era bambini».
Articolo pubblicato su piccole note

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